Nel 2021 l’82% delle aziende ha fatto ricorso a strategie di content creation1.
Foto, video, grafiche, podcast, documenti, articoli del blog come quello che stai leggendo. Un contenuto racconta brand, prodotti o servizi e ha un grande potenziale in termini di ROI.
La content creation, infatti, è una delle espressioni più efficaci dell’inbound marketing ed è in grado di generare un numero di lead fino a tre volte maggiore rispetto alle altre leve e costare in media il 62% in meno2.
Il buyer journey di tutti noi è sempre più digitale.
Siamo abituati a trovare risposte ai nostri dubbi e soluzioni ai nostri bisogni cercando sul web con Google, spulciando su marketplace come Amazon o chiedendo direttamente ad Alexa.
I brand lo sanno bene e per farsi trovare dalle persone giuste, devono creare contenuti adeguati a ciascuno dei propri clienti. Le attività di content creation, però, sono molte e molto differenti tra loro.
Creare un contenuto richiede ai marketer grandi energie e risorse, spingendoli a chiedersi “sto creando i contenuti nel modo più efficace possibile?”. Domanda che, se sei qui, forse non ti è sconosciuta 😊
In questo articolo, oltre a un flash sul concetto di content creation (e qualche curiosità!), troverai un rapido quiz con cinque domande da porti per valutare se i tuoi processi di content creation sono davvero efficaci. Dopo la lettura ti porterai a casa alcuni spunti pratici interessanti per migliorare il tuo lavoro e quello del tuo team!
1 The Ultimate List of Marketing Statistics for 2022, 2022, HubSpot.
2 The Ultimate List of Marketing Statistics for 2022, 2022, HubSpot.
Ciò che rende unica una strategia di content marketing è la sua abilità di dialogare con i potenziali clienti, fornirgli valore e guidarli verso un’azione più o meno consapevole.
The Lego Movie, ad esempio, che nel 2014 divertì nelle sale milioni di spettatori rafforzò il posizionamento del brand di mattoncini.
IMG 1: Lego Movie 2 – Uno dei videogiochi tratti dal film Lego
Senza budget da cinema, anche i grandi brand di casa nostra investono nel content marketing.
Alcuni esempi? La playlist di Spotify di Barilla per una cottura a puntino della pasta o il canale YouTube di Buitoni di video-ricette.
La content creation, comunque, non è solo parte delle strategie dei colossi mondiali.
Grazie al content marketing i clienti premiano i brand acquistando i loro prodotti e servizi, perché attraverso i contenuti li intrattengono, rispondono ai loro dubbi e condividono la propria conoscenza su tematiche di interesse in modo autentico.
Il termine “content marketing” è stato coniato nel 1996, ma non pensate che sia figlio dell’era del web. La digitalizzazione ha richiesto ai brand di rispolverare una tecnica che risale a circa 300 anni fa.
Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, lanciò nel 1732 l’Almanacco del Povero Richard. Apparentemente si trattava di un calendario annuale con previsioni meteorologiche, consigli per la casa, indovinelli e storie di vario tipo.
La struttura e la qualità dei contenuti incuriosirono e ampliarono la platea di lettori, spinti ad acquistare ogni anno la nuova edizione dell’almanacco. Stampato per 26 anni consecutivi, l’almanacco promosse l’attività tipografica di Franklin.
Un altro esempio storico di content marketing è The Furrow, rivista edita per la prima volta nel 1895 da John Deere, proprietario di un’azienda di macchine agricole. Fornendo consigli utili agli agricoltori, la rivista – tutt’oggi letta in tutto il mondo – gioca un ruolo importante nel posizionamento della Deere & Company, la società fondata dallo storico autore della rivista.
IMG 2: Alcune copertine della rivista “The Furrow”
Il resto della storia è più o meno noto.
Oggi la content creation – sia in ambito B2B sia B2C – è il cuore pulsante delle strategie dei brand, che si sviluppano sempre più su un terreno digitale, dai motori di ricerca agli e-commerce.
Il volume di interazioni utente registrate sul web quotidianamente impone la creazione continua di nuovi contenuti. Solo in Italia sono oltre 50 milioni le persone che usano internet3 ogni giorno.
I motori di ricerca sono il principale strumento attraverso il quale i consumatori scoprono nuovi brand, superando modalità più tradizionali come gli spot in tv e il passaparola . Vertiginosa anche la crescita dei nuovi media come le inserzioni sui social media e i siti web dei brand4.
Fonte: Digital2021 Italy, 2021, Hootsuite
La moltiplicazione dei touchpoint richiede una continua produzione di contenuti digitali, personalizzati per ciascun canale, ma tra loro allineati e coerenti.
Le attività necessarie variano di molto in base all’organizzazione aziendale, alla tipologia di asset da produrre, al canale di destinazione. Si possono però identificare una serie di step comuni che caratterizzano la content creation.
In particolare:
Tipicamente queste attività vengono supportate dalla tecnologia e, in particolare, dai DAM, soluzioni di Digital Asset Management che permettono ai brand di gestire tutte le fasi del ciclo di vita dei contenuti.
3 Digital2021 Italy, 2021, Hootsuite.
4 Digital2021 Italy, 2021, Hootsuite.
Dati e statistiche evidenziano una correlazione stretta tra ROI e content marketing.
Conoscere il ritorno dell’investimento della propria content strategy è fondamentale per un marketer, perché si tratta di un’attività che richiede grandi energie e risorse. Allo stesso tempo, però, calcolarlo è complesso perché spesso è difficile misurare l’impatto di un contenuto sulle conversioni.
Tuttavia, ci sono alcune considerazioni che, sebbene non forniscano un indicatore numerico, aiutano ad inquadrare il valore delle attività di creazione dei contenuti. Qui di seguito abbiamo riassunto cinque domande guida a cui puoi provare a rispondere per valutare la qualità della content creation del tuo team. Partiamo?
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1. Che tu sia un creativo o un Project Manager, quanti strumenti e canali diversi utilizzate in azienda per condividere feedback sui contenuti? Considera anche le revisioni scambiate con fornitori come agenzie, fotografi e freelance.
Alcuni esempi: e-mail, Microsoft Teams, WhatsApp, Telegram, servizi di file sharing come WeTransfer, spazi cloud come Google Drive o Dropbox. Contano anche le telefonate di “richiesta follow up” 😉
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2. Tu e la tua azienda vi appoggiate ad attività strutturate per l’approvazione dei contenuti da pubblicare? Se sì, i workflow sono flessibili e personalizzabili in autonomia dal team?
Considera che: sebbene le chat aziendali o le e-mail siano “strumenti digitali”, non consentono di creare processi efficienti ma generano solo comunicazioni destrutturate.
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3. Perdersi tra i meandri delle attività di creazione di ogni singolo contenuto è molto più semplice di quel che sembra. Soprattutto se non si dispone di strumenti adeguati in grado di farci da bussola.
Considera che: tappezzare l’agenda di “SAL” per avere l’idea di cosa stiano facendo i tuoi colleghi non è sufficiente per evitare colli di bottiglia e avere una visione di insieme aggiornata.
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4. Rifletti sul tempo necessario a popolare siti web ed e-commerce con i contenuti e i relativi dati di prodotto. Hai mai pensato di metterci “troppo” per gestire questa attività?
Considera che: un contenuto privo del suo corredo informativo di prodotto (come codice SKU, materiali, dimensioni, colore, etc.) difficilmente impatterà positivamente sul business perché offrirà un’esperienza parziale sui canali finali. Inoltre, non consentirà di tracciare il suo impatto reale in termini di ROI.
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5. Analizzare il frutto delle tue attività di content creation è uno step fondamentale per creare contenuti di qualità sempre maggiore. Per farlo, occorrono strumenti adeguati, combinati a tool “tradizionali”.
Considera che: strumenti come Google Analytics o SemRush si limitano ad un’analisi quantitativa, basata sul traffico e non includono invece un’analisi qualitativa delle modalità di fruizione dei contenuti.
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